Regole: 08) Ambiti territoriali di caccia

In tema di regole della caccia, è necessario parlare anche degli ambiti territoriali di caccia. Questi istituti, introdotti per la prima volta nel 1992 dalla legge 157 all’art. 14, devono essere di dimensioni sub-provinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.

Dovendo definire cosa sia un Ambito Territoriale di Caccia, potremmo dire che esso rappresenta la porzione di territorio agro-silvo-pastorale che residua dalla presenza sullo stesso degli istituti pubblici destinati alla protezione e alla produzione della fauna selvatica e degli altri privati destinati alla gestione faunistica e faunistico – venatoria e che non è soggetta ad altra destinazione. Nel comitato di gestione degli ATC devono essere nominati i rappresentanti delle associazioni rappresentative a livello nazionale, agricole e venatorie (60%), ambientaliste (20%) e degli enti locali (20%).

I compiti del Comitato di gestione dell’ATC sono fondamentalmente quelli di svolgere una ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica (censimenti) sul proprio territorio, al fine di programmare gli interventi di miglioramento degli habitat per la ricostituzione di una presenza faunistica ottimale, in altri termini conoscere prima per programmare poi; esso ha autonomia tecnica, organizzativa e di gestione sotto la vigilanza della Provincia territorialmente competente.

L’iscrizione in almeno un ATC è obbligatoria per ciascun cacciatore, a meno che lo stesso non eserciti la caccia esclusivamente in AFV o in AATV, e quello di residenza gli deve essere obbligatoriamente concesso. A domanda, i comitati di gestione degli ATC possono autorizzare la caccia nel territorio di propria giurisdizione anche a cacciatori residenti fuori ambito, dettando le regole per l’accesso e le priorità, fino al raggiungimento della densità massima di cacciatori per territorio.

Nelle Marche sono stati istituiti 2 ATC per ciascuna Provincia che presentano caratteristiche geografiche omogenee tra loro, comprendendo un territorio che va, per ognuno, dalla zona montuosa (più occidentale ) a quella pianeggiante (più orientale) fino al mare Adriatico. L’iscrizione a ciascun ATC è onerosa ed i fondi versati devono essere utilizzati per lo svolgimento dei compiti d’istituto sopra elencati. L’importo annuale della quota è stabilito dal Comitato di gestione con provvedimento motivato.

cura di Danilo Bordoni

 

Regole: 7) Luoghi di divieto di caccia

Oltre ai luoghi nei quali la caccia è vietata a causa della distanze da rispettare da immobili e vie di comunicazione, come abbiamo già visto nella puntata dedicata a questo argomento, la normativa individua le zone interdette all’attività venatoria, che sono:

– parchi nazionali e regionali

– riserve naturali statali e regionali

– zone umide italiane della lista di Ramsar

– parchi pubblici e privati

– oasi di protezione destinate a rifugio, riproduzione e sosta della fauna selvatica

– zone di ripopolamento e cattura destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale per ripopolamenti e irradiamento nelle zone limitrofe

– centri pubblici e privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale

– zone addestramento cani senza sparo

– giardini, parchi pubblici e privati, parchi storici ed archeologici, terreni adibiti ad attività sportive

– fondi chiusi.

Sebbene la legge stabilisca che il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione debba essere destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, tali percentuali sono costantemente superate dalla sommatoria di tutte le superfici interdette alla caccia sopra elencate.

 

 

a cura di Danilo Bordoni

 

Regole: 6) Mezzi di caccia consentiti e non

L’attività venatoria è consentita con l’uso del fucile con canna ad anima liscia fino a due colpi, a ripetizione e semiautomatico, con caricatore contenente non più di due cartucce, di calibro non superiore al 12, nonché con fucile con canna ad anima rigata a caricamento singolo manuale o a ripetizione semiautomatica di calibro non inferiore a millimetri 5,6 con bossolo a vuoto di altezza non inferiore a millimetri 40 .

È consentito, altresì, l’uso del fucile a due o tre canne (combinato), di cui una o due ad anima liscia di calibro non superiore al 12 ed una o due ad anima rigata di calibro non inferiore a millimetri 5,6, nonché l’uso dell’arco e del falco.

I bossoli delle cartucce devono essere recuperati dal cacciatore e non lasciati sul luogo di caccia.

Il titolare della licenza di porto di fucile anche per uso di caccia è autorizzato, per l’esercizio venatorio, a portare, oltre alle armi consentite, gli utensili da punta e da taglio atti alle esigenze venatorie .

Sono vietati tutte le armi e tutti i mezzi per l’esercizio venatorio non esplicitamente ammessi dalla legge: munizione spezzata nella caccia agli ungulati, usare esche o bocconi avvelenati, vischio o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni similari, fare impiego di civette, usare armi da sparo munite di silenziatore o impostate con scatto provocato dalla preda, fare impiego di balestre, utilizzare a scopo venatorio scafandri o tute impermeabili da sommozzatore negli specchi o corsi d’acqua, richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono.

 

a cura di Danilo Bordoni

 

Regole: 5) Periodi di caccia, mesi – giorni – orari

L’esercizio venatorio è vietato, per ogni singola specie:

  1. a) durante il ritorno al luogo di nidificazione;
  2. b) durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli .

In base a tale presupposto, fondato su basi scientifiche, il periodo di caccia è andato sempre più diminuendo negli anni, e si è passati dalle cacce primaverili (famose quelle alle quaglie praticate a maggio entro mille metri dalla  battigia), all’apertura agostana ai cosiddetti estatini (quaglia e tortora principalmente), alla chiusura della caccia al 31 marzo, poi chiusura al 28 febbraio, ai calendari venatori attuali con apertura alla III domenica di settembre e chiusura al 31 gennaio: oggettivamente ulteriori restrizioni temporali sarebbero ingiustificate.

Il numero delle giornate di caccia settimanali non può essere maggiore di tre. Le regioni possono consentirne la libera scelta al cacciatore, escludendo i giorni di martedì e venerdì, nei quali l’esercizio dell’attività venatoria è in ogni caso sospeso (silenzio venatorio). La caccia è consentita da un’ora prima del sorgere del sole fino al tramonto: il calendario venatorio indica poi gli orari precisi di inizio e fine dell’attività venatoria, con modifiche bisettimanali basate sull’orario di alba e tramonto.

 

a cura di Danilo Bordoni

Regole: 4) Concetto di fauna selvativa

Per fauna selvatica si intende l’insieme delle specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale, eccettuati talpe, ratti, topi propriamente detti e arvicole.

Con la L. 157/92 si è operato un cambiamento epocale nel concetto di fauna selvatica, dapprima definita “res nullius” ed ora divenuta “res communitatis”: in altri termini TUTTA la fauna selvatica è proprietà dello Stato, è tutelata, alcune specie addirittura particolarmente protette, e l’attività venatoria si svolge per una concessione che lo Stato rilascia ai cittadini che la richiedano e che posseggano i requisiti previsti. La fauna selvatica abbattuta durante l’esercizio venatorio nel rispetto della legge appartiene a colui che l’ha cacciata. Si possono cacciare solo le specie elencate nella legge, solo nei giorni e negli orari consentiti, solo con i mezzi stabiliti e solo nei luoghi concessi. Ogni altro modo di abbattimento è vietato, salvo che non avvenga per caso fortuito o per forza maggiore.

Appropriarsi senza averne titolo di un qualunque esemplare di mammifero o di uccello costituisce quindi un vero e proprio furto ai danni dello Stato, con le immaginabili conseguenze che ciò comporta a livello sanzionatorio

 

a cura di Danilo Bordoni

 

Regole: 3) Libero accesso dei cacciatori nei fondi

Articolo 842 c.c.  “Il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l’esercizio della caccia, a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture in atto suscettibili di danno. Egli può sempre opporsi a chi non è munito della licenza rilasciata dall’autorità.”

Tale concessione riguarda il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione, al quale però vanno detratti:

–          una quota (molto spesso superata) dal 20 al 30 % destinata a protezione della fauna selvatica (oasi di protezione e zone di ripopolamento e cattura, centri di riproduzione di fauna selvatica, foreste demaniali),

–          una quota fino al 15 % destinata ad AFV, ad AATV e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale,

–          tutti i territori di Parchi Nazionali, Parchi e Riserve Naturali Regionali,

–          tutto il territorio ubicato a distanza < a 100 metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro,

–          tutto il territorio ubicato a distanza < a 50 metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade statali, provinciali, comunali e piste ciclabili,

e quindi, tenendo presente la conformazione urbanistica del territorio italiano, ciò che residua è molto meno di quanto si possa immaginare.

Questo aspetto che è visto da molti anticaccia come una ingiusta prerogativa riservata alla lobby dei cacciatori, in realtà riveste una funzione sociale, prevista dall’art. 42 della nostra Costituzione e ribadita da una decisione della Corte costituzionale (n. 57/1976): la caccia, dapprima possibile solo per latifondisti, nobili, facoltosi borghesi e grandi proprietari terrieri, ora è un’attività praticabile da chiunque possegga i requisiti necessari, indipendentemente dal suo censo.

L’esercizio venatorio resta comunque vietato a chiunque in forma vagante sui terreni in attualità di coltivazione nonché nei fondi chiusi da muro o da rete metallica o da altra effettiva chiusura, di altezza non inferiore a metri 1,20 o da corsi o specchi d’acqua perenni il cui letto abbia la profondità di almeno metri 1,50 e la larghezza di almeno 3 metri

a cura di Danilo Bordoni